Marco Leti's Blog

23 aprile 2010

Informazioni generali di richiesta di invalidità e legge 104.

Filed under: Benvenuto — marcoleti @ 11:26 am

Qualsiasi disabile non viene considerato tale dallo Stato se non è in possesso di un certificato che comprovi la sua minorazione. Il certificato non può essere rilasciato da un qualsiasi medico.
La minorazione può derivare da una causa di guerra, da una causa di lavoro, da una causa di servizio oppure può essere il risultato di una malattia, di un incidente o di una fatalità, queste ultime nulla hanno a che vedere con le cause precedenti.
In questo caso la minorazione viene definita “civile“. Fra le minorazioni civili rientrano l’invalidità, la cecità e il sordomutismo.

Quando richiedere l’accertamento
Le provvidenze economiche (pensioni, assegni, indennità) vengono erogate solo in presenza di una specifica certificazione di invalidità. Per accedere ad agevolazioni lavorative, benefici fiscali, contributi di varia natura, la condizione posta è sempre “l’adeguata documentazione medica”.
È consigliabile richiedere sempre l’accertamento dell’invalidità e dell’handicap quando si è in presenza di una patologia o di una minorazione di una certa severità e permanenza. Un consiglio preventivo circa l’opportunità di “imbarcarsi” in questo procedimento è quello di avvalersi di una figura competente come un legale

Invalidità o handicap
Coesistono in Italia modalità di accertamento che seguono logiche e procedure molto diverse e la maggioranza delle persone che si avvicinano, loro malgrado, a questo ambito, stentano a comprendere. Ci limitiamo qui a spiegare la differenza fra l’accertamento dell’invalidità e la valutazione dell’handicap.
L’accertamento dell’invalidità civile, più datato storicamente, segue una logica medicolegale, ed è basato sulla percentualizzazione delle diverse minorazioni ed affezioni. La commissione preposta all’accertamento si basa cioè su tabelle di riferimento approvate dal Ministero della Sanità (Decreto 5 febbraio 1992) e che fissano per ciascuna minorazione una percentuale (fissa o variabile) di invalidità.
Per definizione l’invalidità è “la difficoltà a svolgere alcune funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione.
La valutazione dell’handicap, che discende dalla Legge 104/1992, si attiene invece ad una logica di tipo medicosociale, tendente cioè a soppesare la ricaduta sociale, nelle relazioni, nella necessità di assistenza, di una persona con una minorazione.
L’handicap viene infatti definito come la situazione di svantaggio sociale che dipende dalla disabilità o menomazione e dal contesto sociale di riferimento in cui una persona vive (art. 3 comma 1, Legge 104/1992).
L’handicap viene considerato grave quando la persona necessita di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione (art. 3 comma 3, Legge 104/1992). La certificazione di handicap grave viene spesso richiesta al fine di ottenere i permessi lavorativi retribuiti previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992.
E veniamo al suggerimento: è consigliabile, quando si presenta la domanda di accertamento dell’invalidità, presentare anche quella di handicap (e viceversa).

Chi accerta l’invalidità e l’handicap
L’invalidità viene accertata da una commissione operante presso ogni Azienda Asl. Ma chi fa parte di questo organo? Per legge la commissione è composta da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro. Nel caso la commissione debba accertare l’handicap, questa è integrata dalla presenza di un operatore sociale ed un esperto nei casi da esaminare.

La domanda
Dunque l’accertamento dell’invalidità e dell’handicap è affidato alle Aziende Asl che operano attraverso proprie specifiche commissioni.
Le domande di accertamento vanno quindi presentate, dall’interessato o da chi lo rappresenta legalmente (genitore, tutore, curatore), alla segreteria della commissione dell’Azienda Asl di residenza.

Definizione: Residenza

La domanda si presenta compilando un modulo disponibile presso la segreteria. Non esiste purtroppo un modulo unico ed omogeneo su tutto il territorio nazionale. Nella maggioranza dei casi il modulo unifica la richiesta dell’accertamento dell’invalidità con quella dell’handicap.
Alla domanda bisogna allegare una certificazione medica che riporti la diagnosi e la tipologia della menomazione. È possibile, ed opportuno, allegare cartelle cliniche, lettere di dimissione ospedaliera e la documentazione medica più significativa in possesso del richiedente, sapendo che poi, al momento della visita, si può presentare ulteriore documentazione.
È possibile farsi assistere nella presentazione della domanda e per i successivi passaggi da un legale, da un patronato sindacale o dalle associazioni di categoria.

La visita
Chi ha richiesto l’accertamento riceve, nei mesi successivi, una comunicazione che indica la data e il luogo dove verrà effettuata la visita. È bene sapere che esiste l’opportunità di farsi assistere durante la visita, a proprie spese, da un medico di fiducia.
La commissione può, nel corso della visita, richiedere ulteriori accertamenti clinici specialistici ed acquisire gli esiti di tali verifiche prima di definire la pratica. Ciò accade di rado e nel caso in cui la documentazione medica non sia esaustiva e sia particolarmente datata.
Il disabile convocato per gli accertamenti sanitari può motivare, con idonea documentazione medica, la propria eventuale impossibilità a presentarsi a visita. La visita a domicilio viene solitamente attivata solo per persone non in grado di deambulare o per le quali gli eventuali spostamenti siano di pregiudizio per la loro salute. Se il disabile non è in grado di segnalare la propria situazione, tale impossibilità può essere motivata anche da un familiare convivente.
La visita può essere effettuata anche durante un ricovero ospedaliero, in particolare nei casi di ricovero in reparti di lungodegenza o di riabilitazione.
Nel caso il richiedente sia ricoverato o domiciliato in una Azienda Asl diversa da quella di residenza, può essere richiesto il cosiddetto accertamento in rogatoria che va comunque presentato all’Azienda Asl di residenza. Questa richiederà alla commissione dell’Azienda Asl dove è domiciliato o ricoverato il disabile, di effettuare gli accertamenti sanitari del caso e di comunicarne l’esito alla commissione competente che provvede ad emettere il certificato con l’indicazione della relativa percentuale (per l’invalidità) o dell’handicap.

La visita ritarda
Il DPR 698/1994, che regolamenta i tempi di accertamento, prevede che l’iter di riconoscimento di invalidità debba concludersi entro nove mesi dalla presentazione della domanda.
Nel caso la commissione medica entro tre mesi dalla presentazione della domanda non fissi la visita di accertamento, l’interessato può presentare una diffida all’Assessorato regionale competente che provvede a fissare la visita entro il termine massimo di 270 giorni dalla data di presentazione della domanda; se questo non accade (silenzio rigetto) si può ricorre al giudice ordinario. Nel caso di ricorso è possibile farsi appoggiare da un legale (eventualmente con il gratuito patrocinio se sussistono difficoltà economiche), da un patronato sindacale o da associazioni di categoria.

L’aggravamento
Chi ha ottenuto il riconoscimento dell’invalidità civile o dell’handicap può presentare richiesta di aggravamento. Per farlo bisogna presentare una nuova domanda compilando nuovamente il modulo per la richiesta di accertamento disponibile presso la segreteria della commissione dell’Azienda Asl. Nessuna norma prevede un tempo minimo da attendere prima di presentare la domanda di aggravamento.
Al modulo va allegato un certificato medico che precisi in modo puntuale e circostanziato che la disabilità è aggravata oppure che si sono presentate nuove menomazioni.
Attenzione: non è possibile richiedere la verifica dell’aggravamento se già si è avviato un procedimento di ricorso.

Cosa accade dopo la visita
Dopo la visita, e l’eventuale perfezionamento della pratica con ulteriori accertamenti, la commissione Asl emette un verbale di invalidità e, se richiesto, di handicap.
I verbali vengono trasmessi ad un altro organo: la commissione di verifica (ex Commissione periferica per le pensioni di guerra e di invalidità).
Questa convalida o meno il verbale. La commissione di verifica può anche convocare a visita l’interessato per approfondimenti oppure richiedere chiarimenti alla commissione Asl.
La commissione di verifica ha comunque tempo 60 giorni per richiedere la sospensione della procedura, dopodiché vige il principio del silenzio-assenso.

Il verbale
Una volta completato l’iter di accertamento e di convalida, la commissione dell’Azienda Asl trasmette all’interessato il verbale che riporta l’esito della visita con annotate le procedure da attivare per l’eventuale ricorso.
Il verbale di invalidità civile e quello di handicap non sempre si leggono con semplicità ed immediatezza. In sostanza non sempre è facile capire a che cosa danno diritto, se è opportuno presentare ricorso, se possono concedere o meno agevolazioni di qualche natura. Anche in questo caso è il caso di rivolgersi ad un legale di fiducia.

20 aprile 2010

Insegnanti di sostegno: Sentenza della Corte Costituzionale

Filed under: Benvenuto — marcoleti @ 9:51 am

Sulla riduzione, spesso drastica, delle ore di sostegno agli alunni con disabilità si registrano da tempo numerosi contenziosi presso i tribunali di tutta Italia, con esiti favorevoli alle famiglie ricorrenti. Ma la Sentenza della Corte Costituzionale n. 80, depositata il 26 febbraio 2010, rappresenta una svolta decisa di cui il Ministero della Pubblica Istruzione non potrà non tenere conto.
Secondo la Corte sono illegittime – sotto il profilo costituzionale – le norme che fissano un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno, e che vietano di assumerne in deroga, in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave e cioè la Legge 244/2007, articolo 2, commi 413 e 414): questo il dispositivo della Sentenza.
I dubbi di Costituzionalità, ora riconosciuti come fondati, sono stati sollevati dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana all’interno di un procedimento che vedeva contrapposti il Ministero della Pubblica Istruzione e i genitori di una bambina con grave disabilità. A quest’ultima, in forza delle vigenti disposizioni, erano state ridotte le ore di sostegno di cui necessitava. Un caso simile a moltissimi altri.

Gli insegnanti di sostegno

La Legge Finanziaria per il 2008 (Legge 244/2007, articolo 2, commi 413 e 414), infatti, è intervenuta modificando la precedente normativa che prevedeva esplicitamente deroghe nell’assegnazione degli insegnati di sostegno nei casi di alunni con disabilità particolarmente gravi.
A poco è servita l’incidentale precisazione che i «criteri e modalità devono essere definiti con riferimento alle effettive esigenze rilevate, assicurando lo sviluppo dei processi di integrazione degli alunni diversamente abili».
E ancora meno erano servite le ambigue indicazioni del Decreto del Ministero della Pubblica Istruzione del 24 aprile 2008 che all’articolo 9, affermava: «per l’anno scolastico 2008/09 il numero dei posti di sostegno complessivamente attivabili in ciascuna regione (…) tende a realizzare al livello regionale il graduale raggiungimento del rapporto medio nazionale di un insegnante ogni due alunni diversamente abili».
Di fatto si è assistito ad un taglio deciso e generalizzato dei posti di sostegno in tutta Italia.
Attualmente le ore di sostegno vengono attribuite sulla base dei Piani Educativi Individualizzati (PEI), cioè uno strumento di programmazione della vita scolastica degli alunni con disabilità, o comunque in base alla presenza di alunni con handicap.
Il PEI è anche uno strumento che evidenzia le necessità di integrazione, le risorse necessarie, fra cui – appunto – le ore di sostegno, e impone delle responsabilità.
Ovviamente se queste necessità sono condizionate da limiti di bilancio o da altri vincoli normativi, decade il principio stesso del diritto allo studio costituzionalmente garantito.
Ma si tratta anche di un principio ribadito dalla normativa speciale (Legge quadro sull’handicap 104/1992) e da Convenzioni internazionali, non ultima la Convenzione ONU sui Diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia.

Le motivazioni

Nel motivare la Sentenza di illegittimità la Corte è piuttosto circostanziata e decisa.
La Corte sottolinea che i disabili non costituiscono un gruppo omogeneo. Vi sono, infatti, «forme diverse di disabilità: alcune hanno carattere lieve ed altre gravi. Per ognuna di esse è necessario, pertanto, individuare meccanismi di rimozione degli ostacoli che tengano conto della tipologia di handicap da cui risulti essere affetta in concreto una persona».
E prosegue: «ciascun disabile è coinvolto in un processo di riabilitazione finalizzato ad un suo completo inserimento nella società; processo all’interno del quale l’istruzione e l’integrazione scolastica rivestono un ruolo di primo piano». Un’indicazione che oltre che di diritto, è anche di metodo.
La Corte ricorda che, sotto il profilo normativo, il diritto all’istruzione dei disabili è oggetto di specifica tutela da parte sia dell’ordinamento interno che internazionale, e richiama espressamente la recente Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall’Italia con Legge 3 marzo 2009, n. 18.
All’articolo 24 la Convenzione statuisce che gli Stati Parti «riconoscono il diritto delle persone con disabilità all’istruzione» che deve essere garantito, anche attraverso la predisposizione di accomodamenti ragionevoli, al fine di «andare incontro alle esigenze individuali» del disabile.

Garanzie indefettibili

Anche la nostra Costituzione (articolo 38, terzo comma) stabilisce il diritto all’istruzione e alla formazione professionale delle persone con disabilità, principio poi ampiamente ripreso ed articolato dalla Legge 104/1992.
Pertanto – ribadisce la Corte – «il diritto del disabile all’istruzione si configura come un diritto fondamentale». Come già aveva affermato nel 1987 (Sentenza 215), sottolinea che «la fruizione di tale diritto è assicurata, in particolare, attraverso misure di integrazione e sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti d’istruzione».
La Consulta riconosce, sì, al Legislatore una discrezionalità nell’individuazione delle misure necessarie a tutela dei diritti delle persone disabili, ma questo potere discrezionale non ha carattere assoluto e trova un limite nel rispetto di un «nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati».
E le norme impugnate hanno inciso proprio su quel “nucleo indefettibile di garanzie” quale limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale del legislatore.
La scelta operata da quest’ultimo, secondo la Corte, in particolare quella di sopprimere la riserva che consentiva di assumere insegnanti di sostegno a tempo determinato, non trova alcuna giustificazione nel nostro ordinamento, posto che quella riserva costituisce uno degli strumenti attraverso i quali è reso effettivo il diritto fondamentale all’istruzione del disabile grave.
Molto decisa la conclusione: «le disposizioni impugnate si appalesano irragionevoli e sono, pertanto, illegittime nella parte in cui, stabilendo un limite massimo invalicabile relativamente al numero delle ore di insegnamento di sostegno, comportano automaticamente l’impossibilità di avvalersi, in deroga al rapporto tra studenti e docenti stabilito dalla normativa statale, di insegnanti specializzati che assicurino al disabile grave il miglioramento della sua situazione nell’ambito sociale e scolastico».

E adesso?
La Sentenza è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, I Serie Speciale, n. 9 del 3 marzo 2010, quindi è efficace a tutti gli effetti. Ora è prevedibile qualche mossa “riparatoria” del Ministero (e del Governo) che è difficile prevedere. È possibile che il Ministero riveda il proprio Decreto 24 aprile 2008 ridefinendo i criteri di assegnazione degli insegnanti di sostegno in modo più elastico. È anche possibile, e questo è più preoccupante ma più facilmente contestabile, che il Ministero opponga il vincolo che il Governo ha fissato per il contenimento della spesa pubblica e che sta investendo praticamente tutte le Amministrazioni Pubbliche.
Nel frattempo, i processi attualmente intentati dalle famiglie per la riduzione delle ore di sostegno potranno contare su uno svolgimento più “favorevole”.
Infine, le famiglie di alunni con disabilità, in particolare se derivante da handicap grave, dovranno prestare maggiore attenzione nella redazione dei Piani Educativi Individualizzati: da questi deve risultare con chiarezza il numero di ore di sostegno necessarie. Questo è particolarmente utile sia per le comunicazione che i dirigenti scolastici devono inviare agli Uffici scolastici regionali, tramite gli Uffici provinciali, per la definizione degli organici, sia per le eventuali azioni presso il TAR in caso di non assegnazione delle ore di sostegno previste dai PEI.
Senza dubbio vi sarà un disorientamento degli Uffici scolastici regionali a cui è restituita – di fatto – la possibilità (se non addirittura l’obbligo) di applicare deroghe.
Ma che faranno ora i responsabili degli Uffici scolastici regionali di fronte a richieste superiori all’organico che il Ministero ha loro assegnato? Se si adeguano alle indicazioni del Ministero, vanno contro la decisione della Corte Costituzionale, pertanto l’unica via d’uscita sarà di richiedere al Ministero un’assegnazione supplementare.
Prossimamente vedremo quali saranno le mosse del Ministero, dopo che negli ultimi mesi si è rivelato un vero “muro di gomma” contro cui si sono infranti appelli, richieste, interrogazioni, ma anche decine (forse centinaia) di sentenze in cui il Dicastero risultava soccombente proprio per la mancata assegnazione di insegnanti di sostegno.

tratto da www.handylex.org

13 aprile 2010

Congedi retribuiti: ancora precisazioni sulla convivenza

Filed under: Benvenuto — marcoleti @ 1:48 PM

I congedi straordinari di due anni, disciplinati dall’articolo 42, comma 5, del Decreto Legislativo 151/2001, sono – assieme ai permessi lavorativi mensili previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992 – una agevolazione lavorativa di grande interesse per i familiari di persone con grave disabilità.
La norma istitutiva (Legge 388/2000, articolo 80, comma 2) ammetteva al beneficio solo i genitori di persone con handicap grave e – in casi eccezionali – i fratelli e le sorelle conviventi con il disabile, due successive Sentenze della Corte Costituzionale (n. 158/2007 e n. 19/2009) hanno esteso anche al coniuge e ai figli la facoltà di avvalersi del congedo retribuito di due anni.
In questi due casi la Corte ha posto come condizione la convivenza con il familiare da assistere, prerequisito che già valeva per fratelli e le sorelle. Per i figli che assistono i genitori – va sottolineato – la Corte aggiunge anche un’altra condizione: i congedi possono essere concessi «in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave».

Dubbi interpretativi

Sul significato da attribuire al concetto di “convivenza” tuttavia, sono emersi da subito dei dubbi interpretativi e, conseguentemente, applicativi. La Corte Costituzionale, rifacendosi alla norma istitutiva, parla genericamente di “convivenza”, senza entrare nel merito delle più precise definizioni del Codice Civile che distingue nettamente fra residenza e domicilio.
Ma come si dimostra la convivenza? È necessaria la effettiva residenza che risulta dallo “stato di famiglia” o è sufficiente il “domicilio”?

Prime indicazioni

Una prima indicazione l’aveva fornita l’INPS, sentito il Ministero del Lavoro, con il proprio Messaggio n. 19583 del 2 settembre 2009.
Il Messaggio stabiliva che – alla luce della necessità di una assistenza continuativa – per convivenza si deve fare riferimento, in via esclusiva, alla residenza, luogo in cui la persona ha la dimora abituale, ai sensi dell’articolo 43 del Codice Civile, non potendo “ritenersi conciliabile con la predetta necessità la condizione di domicilio né la mera elezione di domicilio speciale previsto per determinati atti o affari dall’articolo 47 del Codice Civile”.
L’INPS, nemmeno nei moduli di richiesta del congedo, non richiede la presentazione del certificato anagrafico di residenza, ma chiede al lavoratore una dichiarazione di responsabilità in cui si sottoscrive la convivenza intesa come dimora abituale comune alla persona da assistere. Si guarda, cioè, alla sostanza della situazione e non alla formalizzazione “anagrafica”.
Si facevano salve in tal modo le situazioni “ibride”, quali – ad esempio – il caso delle coabitazioni di fatto senza trasferimento ufficiale di residenza, ma al contempo era possibile far pesare, già in fase istruttoria, la evidente assenza di continuità derivante da diversi “domicili”, pur in presenza di formale residenza. In sostanza: il congedo poteva essere negato a chi pur risiedendo formalmente assieme al familiare da assistere, fosse impiegato in un’altra città o magari in un’altra regione.

Difficoltà applicative

Tuttavia in sede applicativa, gli stessi Uffici periferici dell’INPS, in questi mesi, hanno preso in considerazione strettamente la residenza effettiva comune, unica condizione effettivamente verificabile attraverso un controllo incrociato all’anagrafe comunale di riferimento. Ma in questo caso hanno prestato il fianco a prevedibili contestazioni di lavoratori che hanno interpellato il Ministero del Lavoro.
La più evidente contestazione: se il familiare abita allo stesso numero civico, ma non allo stesso interno, secondo questa logica strettamente letterale, veniva escluso dalla concessione dei benefici.

Parere del Ministero del Lavoro

Su questo aspetto è, quindi, intervenuto nuovamente il Ministero del Lavoro con una propria Circolare con cui ritorna, in modo assai impacciato, sulle precedenti generiche indicazioni impartite all’INPS.
Lo fa con la Lettera Circolare del 18 febbraio 2010, Prot. 3884, che parte da una situazione pur frequente, ma particolare: la concessione dei congedi nel caso il familiare da assistere, abiti nello stesso condominio del lavoratore che richiede il congedo (stesso numero civico) ma in un appartamento diverso (altro interno).

Il Ministero premette: “è di tutta evidenza che la residenza nel medesimo stabile, sia pure in interni diversi, non pregiudica in alcun modo l’effettività e la continuità dell’assistenza al genitore disabile.” E prosegue: “Ancorare, quindi, la concessione del diritto esclusivamente alla coabitazione priverebbe in molti casi il disabile della indispensabile assistenza atteso che, il più delle volte, gli aventi diritto hanno già conseguito una propria indipendenza.”
Una considerazione condivisibile, addirittura più ampia di quella indicata dalla Corte Costituzionale, ma contraddetta nella forma e nella sostanza dalla disposizione successiva: “al fine di addivenire ad una interpretazione del concetto di convivenza che faccia salvi i diritti del disabile e del soggetto che lo assiste, rispondendo, nel contempo, alla necessità di contenere possibili abusi e un uso distorto del beneficio, si ritiene giusto ricondurre tale concetto a tutte quelle situazioni in cui, sia il disabile che il soggetto che lo assistite abbiano la residenza nello stesso Comune, riferita allo stesso indirizzo: stesso numero civico anche se in interni diversi.”

Esclusioni e contraddizioni

Il principio espresso in premessa, è vincolato dalla necessità di contenere gli abusi. Quindi, il Ministero dispone arbitrariamente un limite (che spaccia per concessione): abitare nello stesso stabile allo stesso numero civico, anche se non allo stesso interno.
Sono esclusi, ad esempio: i residenti in condomini contigui, i residenti in abitazioni comuni (es: biville) con numeri civici diversi, i residenti nello stesso stabile che abbia due ingressi diversi oltre, ovviamente, a tutti i casi in cui le due abitazioni si trovino anche a soli 10 metri di distanza.
Se l’indicazione contenesse elementi sufficienti per contenere gli abusi, potrebbe essere comprensibile. Ma il Ministero, fissando ed esplicitando questo limite, legando strettamente la concessione dei congedi alla formalità dei riscontri anagrafici, apre a ben altri abusi.
Infatti, con questa indicazione, avranno diritto alla concessione dei congedi i lavoratori formalmente residenti con i genitori o con i fratelli, ma che di fatto abitano (senza aver trasferito la residenza) anche a 1000 chilometri distanza.
Se, infatti, in precedenza questi non potevano dichiarare – senza commettere un falso – la comune abituale dimora, ora potranno ottenere i congedi sulla base della semplice presentazione (o autocertificazione) della comune residenza riscontrabile al Comune di appartenenza.

Cogenza delle nuove indicazioni

L’indicazione del Ministero del Lavoro è cogente sia per il comparto pubblico che per quello privato.
L’INPS ha, comunque, ripreso le indicazioni del Ministero del Lavoro, con il proprio Messaggio n. 6512 del 4 marzo 2010.

tratto da www.handylex.org

6 aprile 2010

Permessi lavorativi: modificato l’articolo 33 della Legge 104/1992

Filed under: Benvenuto — marcoleti @ 2:37 PM

Aggiornamento: il 31 marzo 2010 il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere il testo del “Collegato Lavoro” per un riesame su alcuni aspetti relativi al diritto del lavoro. Pertanto fino alla nuova approvazione e alla definitiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il Disegno di Legge di cui si parla in questo articolo non è vigente e le nuove indicazioni relative ai permessi lavorativi non sono applicabili.

Nella seduta del 3 marzo scorso è stato approvato in via definitiva dal Senato il cosiddetto “Collegato Lavoro” che “rimbalzava” fra i due rami del Parlamento dal 2008.
Il testo (Atti del Senato 1167-B), in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, reca «Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro».
Fra le moltissime disposizioni in materia di lavoro, per alcune delle quali il Governo è delegato ad emettere propri provvedimenti, il testo contiene anche modifiche all’articolo 33 della Legge 104/1992 relativo ai permessi ai lavoratori che assistono familiari con handicap grave. Modifiche che riguardano sia i dipendenti pubblici che i dipendenti privati.
Vediamo, quindi, cosa comportano le modificazioni alla Legge 104/1992 approvate. L’effetto, a tutta prima, appare piuttosto annacquato rispetto alle intenzioni iniziali del Governo. Tuttavia, non dimentichiamo che queste nuove disposizioni saranno poi oggetto di circolari applicative ministeriali e degli istituti previdenziali.

Beneficiari dei permessi

La prima sostanziale modificazione (introdotta dall’articolo 24 della nuova legge) investe il terzo comma dell’articolo 33 – che viene sostituito – e riguarda proprio la definizione degli aventi diritto ai permessi.
In assenza di ricovero della persona con handicap grave da assistere, potranno godere dei tre giorni di permesso mensile retribuiti e coperti da contributi:
1. il genitore;
2. il coniuge;
3. il parente o l’affine entro il secondo grado (esempio, nonni, nipoti in quanto figli del figlio, fratello).
I parenti ed affini di terzo grado (esempio, zii e bisnonni) possono fruire dei permessi lavorativi solo ad una delle seguenti condizioni:
a) quando i genitori o il coniuge della persona con handicap siano deceduti o mancanti; il termine “mancanti” presente nel testo di legge è ambiguo e si presta alle più diverse interpretazioni (non è residente con la persona da assistere? non è noto? c’è stata una disposizione giudiziaria? una separazione?) su cui gli istituti previdenziali avranno margine di proporre le loro interpretazioni e su cui vi saranno evidenti contenziosi.
b) quando i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano più di 65 anni oppure siano affetti da patologie invalidanti.

Va anche sottolineato che scompaiono dalla normativa i requisiti di assistenza esclusiva e continuativa richiesti, in precedenza, nel caso il lavoratore non fosse convivente con la persona con disabilità. L’obbligo di convivenza era stato superato dall’articolo 20, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53 a condizione, appunto, che sussistesse la continuità e l’esclusività dell’assistenza. Ma ora quel comma viene parzialmente abrogato. Pertanto, oltre a non esserci obbligo di convivenza, nessuna fonte prevede più quelle condizioni.
Chi non rientra in questa casistica e che finora ha fruito dei permessi grazie la precedente normativa, si vedrà prossimamente revocare le agevolazioni concesse. Tuttavia, chi scrive ha l’impressione che con questa modificazione (nessun requisito di continuità ed esclusività) gli aventi diritto aumenteranno anzichè – come auspicato da parte del Governo – dimunire.

Per i genitori di bambini di età inferiore ai tre anni rimangono invariate le disposizioni precedenti – due ore di permesso giornaliero o prolungamento dell’astensione facoltativa di maternità fino al terzo anno di vita del bambino – e sembra introdotta, con la formulazione diversa del comma 3, anche la possibilità di fruire dei permessi articolati in tre giorni.
Sempre a proposito di genitori, il nuovo testo precisa che entrambi possono avvalersi, alternativamente, dei permessi anche all’interno dello stesso mese. Non si tratta di una novità sostanziale, visto che questa possibilità era già ampiamente applicata operativamente.

Sede di lavoro

Il comma 5 dell’articolo 33 prevedeva che il lavoratore che assiste un familiare con handicap grave abbia diritto a scegliere, ove possibile, la sede più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso. Il primo è un interesse legittimo (peraltro molto aleatorio), ma il secondo è un vero e proprio diritto soggettivo.
Il testo approvato, opportunamente, indica come riferimento il domicilio della persona disabile da assistere, e non più quella dello stesso lavoratore.

Controlli

All’articolo 33 della Legge 104 viene aggiunto un comma che rafforza la possibilità di effettuare controlli sulle condizioni richieste per la legittima fruizione dei permessi lavorativi e ne disciplina gli effetti.
Non si tratta, ovviamente, di controlli preventivi alla concessione dei permessi, poiché questi vengono già effettuati.
Dal comma si comprende già chiaramente quello che verrà poi normato dal punto di vista amministrativo: il datore di lavoro e l’INPS possono effettuare dei controlli. I controlli saranno probabilmente volti ad appurare se l’assistenza al familiare con handicap sia effettiva nei giorni in cui si sono richiesti i permessi lavorativi, anche se questo controllo di merito diventerebbe piuttosto insostenibile avendo abrogato i requisiti di “continuità ed esclusività” dell’assistenza.
Nel caso in cui venga accertata l’insussistenza delle condizioni, il diritto ai benefici decade e si verificano i presupposti per un’azione disciplinare.

Monitoraggio, privacy e semplificazione

La nuova norma fissa l’obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di trasmettere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, una cospicua serie di dati relativi ai lavoratori che fruiscono dei permessi, al monte ore usate, al rapporto di parentela fra lavoratore e assistito.
Per questa finalità di monitoraggio, la nuova norma autorizza il Dipartimento della Funzione Pubblica al trattamento dei dati personali e sensibili, la cui conservazione non può comunque avere durata superiore a ventiquattro mesi.
Ai fini della comunicazione dei dati, le Amministrazioni Pubbliche sono autorizzate al trattamento dei relativi dati personali e sensibili e provvedono alla conservazione dei dati per un periodo non superiore a trenta giorni dalla loro comunicazione, decorsi i quali, salve specifiche esigenze amministrativo-contabili, ne curano la cancellazione.
Le operazioni rilevanti consistono nella raccolta, conservazione, elaborazione dei dati in forma elettronica e non, nonché nella comunicazione alle amministrazioni interessate.
Sono inoltre consentite la pubblicazione e la divulgazione dei dati e delle elaborazioni esclusivamente in forma anonima.
L’articolo 23 della nuova norma, infine, attribuisce al Governo la delega ad emanare specifici atti volti alla razionalizzazione e semplificazione dei documenti da presentare, con particolare riferimento alle persone con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, o affette da patologie di tipo neuro-degenerativo o oncologico.

Associazioni storiche

Piuttosto singolare è l’ultimo periodo dell’ultimo comma dell’articolo 24 che appare giustapposto e non pertinente con il resto di disposizione.
Il Legislatore ricorda che rimane obbligatorio, per le ASL, l’invio degli elenchi delle persone sottoposte ad accertamenti sanitari, ad ENS, ANMIC e UIC. Questi elenchi devono contenere soltanto il nome, il cognome e l’indirizzo.
Come forse non tutti sanno, infatti, grazie a norme che risalgono al 1970/71, tutti i nominativi di chi viene sottoposto a visita di accertamento per minorazioni civili, vengono trasmessi alle Associazioni cosiddette “storiche”, anche in assenza di autorizzazione o informativa agli interessati.
Il periodo inserito in questa nuova disposizione, sembra mirato a ribadire una normativa datata e messa in discussione da alcune parti, se non addirittura disattesa da alcune ASL.

Tratto da www.handylex.org

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